I fratelli Karamazov

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«Sto per terminare i Karamazov», scrive Dostoevskij il 16 agosto del 1880. «Quest’ultima parte, lo vedo e lo sento da me, è cosí originale e diversa da come scrivono gli altri, che non mi aspetto alcuna approvazione dalla critica. Il pubblico, i lettori sono un’altra storia: mi hanno sempre sostenuto.»

«Nessun termine di confronto è troppo grande per l’opera di
Dostoevskij, che può essere confrontata con ciò che vi è di eterno e di eccelso nella letteratura mondiale. Per me la tragedia dei Karamazov non è inferiore alle vicende di Oreste, all’epicadi Omero, alla linea sublime dell’opera di Goethe. Anzi, queste opere sono tutte piú semplici, piú piane, meno ricche di conoscenze, meno gravide di avvenire di quelle di Dostoevskij». – Stefan Zweig

A un secolo e mezzo dalla sua comparsa la potenza letteraria de I fratelli Karamazov non si è affievolita. Ancora oggi, mentre assistiamo al parricidio piú famoso delle lettere moderne e ne seguiamo l’esaltante iter giudiziario, siamo costretti a scendere nelle profondità piú scomode dell’animo umano, a interrogarci sugli istinti peggiori dell’individuo e della società, a incidere come un patologo le cancrene della nostra coscienza, in un percorso in cui realtà e incubo non sempre hanno contorni netti, in cui la tragedia si accompagna alla farsa, e la disperazione si danna per alimentare una pur esile fiammella di speranza.